È interessante rilevare che, sebbene la tecnologia moderna e le scoperte dei nostri giorni abbiano in parte modificato le "forme egizie" portando alla codificazione di nuove regole, ancora oggi si utilizzano le materie prime conosciute nel III millennio a.C.
In occasione del convegno "Il vetro in Italia meridionale ed insulare", svoltosi nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli sul finire degli anni 90 - dove per l'occasione sono state riallestite le due sale del Museo che dagli anni trenta ospitano la collezione dei vetri - sono stati presentati studi scientifici multidisciplinari sul vetro in epoche remote, spaziando dall'archeologia, alla storia, alla chimica del materiale. È interessante notare come dall'analisi chimica di reperti vitrei si possano ottenere informazioni tecniche tali da permettere la datazione degli antichi manufatti. La tecnica utilizzata per la realizzazione dei vetri di epoca romana provenienti da Pompei - è questa l'origine di quasi tutti i vetri esposti - ha quindi fornito importanti informazioni sul materiale e la sua composizione chimica, oltre che sulle tecniche produttive e le materie prime impiegate. È stato così possibile riconoscere del vetro grezzo, o semi-lavorato, destinato ad essere rifuso e poi rimodellato a caldo. Questo ritrovamento sembra dimostrare che nell'area pompeiana si svolgeva un'attività di produzione vetraria e che in fase di lavorazione veniva utilizzato, come ai nostri giorni, del rottame di vetro.
I
passi di una lenta evoluzione
Prima di giungere alla moderna tecnologia è stato compiuto un lento
percorso evolutivo e si sono sviluppate varie tecniche di formatura. Dapprima
è stata utilizzata la lavorazione "a corpo friabile" nella
quale la materia vitrea, sostenuta da una forma che verrà successivamente
distrutta, viene modellata a caldo. Poi si è passati alla "colatura",
tecnica che si realizza tramite l'avvolgimento di fili di materia vitrea fusa
attorno al corpo friabile ruotante che funge da supporto. Un altro tipo di
colatura prevede la copertura del corpo friabile con silice e la successiva
immersione dell'oggetto nel crogiolo contenente il fondente per la fusione.
Risalgono al I millennio a.C. le prime notizie sui metodi di fabbricazione
del vetro, che testimoniano la straordinaria ricchezza di tipologie di prodotti
già allora esistenti. Fu però la tecnica del "soffio mediante
canna", affermatasi nell'età augustea, a rivoluzionare profondamente
tecniche di produzione del vetro conosciute nel mondo antico. Questa innovazione
permise di ottenere la forma dell'oggetto mediante soffiatura libera o soffiatura
in stampi che, realizzati in metallo, legno e ceramica, riproducevano la forma
da modellare. Questa nuova tecnologia, ancora oggi utilizzata, portò
l'arte vetraria ad un elevato livello di perfezione, cui contribuì
anche l'evoluzione degli stampi, e consentì non solo la produzione
di oggetti voluttuari destinati a poche fasce privilegiate, ma anche di oggetti
rivolti ad una fascia sociale più ampia. Un'altra innovazione importante
che si verificò nel I secolo d.C., riguarda l'uso del colore: il vetro
policromo, translucido, brillante e opaco andò scomparendo per lasciare
il posto alla colorazione naturale. Si riuscì ad ottenere la trasparenza
che costituirà una delle caratteristiche principali del materiale.
Le tecniche della soffiatura libera o in stampi affinarono l'arte vetraria
ed incrementarono la gamma dei manufatti. Risale a quest'epoca la produzione
delle prime bottiglie a forma geometrica, dette appunto romane, vere antesignane
delle moderne bottiglie. Con la caduta dell'Impero Romano, si interruppero
molte attività artigianali, ma l'arte vetraria continuò a vivere
in Oriente.
Julia
Felix, la nave di Grado
"Julia Felix" è il nome propiziatorio con cui viene chiamata
una nave romana presumibilmente della prima metà del II sec. d.C.,
che fu trovata nel 1986 sul fondale adriatico, a 6 miglia dall'isola di Grado,
ad una profondità di 15 metri. La scoperta del relitto riveste un grande
interesse storico e ci fornisce importanti informazioni deducibili sia dal
luogo del ritrovamento che dal carico trasportato. Sulla nave infatti, oltre
all'imponente quantità di anfore che costituiva la quasi totalità
del carico, è stata rinvenuta una botte lignea, collocata a prua, contenente
molti frammenti di vasellame in vetro. A poppa è stata invece ritrovata
della sabbia di origine vulcanica, il tipico materiale utilizzato in fornace.
Questi elementi permettono di tracciare verosimili ipotesi sul percorso e
sull'attività commerciale cui la nave era adibita, confermando l'esistenza
di un commercio specializzato ed una distribuzione a corto raggio sulle coste
adriatiche, con destinazione finale al porto fluviale di Aquileia, all'epoca
uno dei più grandi centri di scambi mercantili. Di grande interesse
sono i frammenti vitrei contenuti nella botte, in quanto costituiscono una
testimonianza storica sulle tecniche di lavorazione del vetro, e dimostrano
che già in epoca romana veniva utilizzato il rottame di vetro per la
produzione di nuovo vetro, come peraltro risulta documentato anche da fonti
letterarie. Avveniva quindi, "ante litteram", un processo di riciclo
in tutto uguale a quello praticato ai nostri giorni. Come è noto Aquileia,
all'epoca cui risale il naufragio della "Julia Felix", era considerato
uno dei maggiori centri di produzione vetraria dell'Italia Settentrionale,
ed il carico di rottame era quindi destinato a raggiungere le sue fornaci.
Venezia,
un ponte con l'Oriente
Già nel Medio Evo Venezia divenne uno dei più importanti centri
vetrari.
Le furono favorevoli tanto la posizione geografica a cavallo tra Europa occidentale
e Oriente, quanto la dotazione di una flotta mercantile che le permise di
avvicinare la cultura orientale e di apprendere le tecniche più raffinate
dell'arte vetraria ivi esistenti. La supremazia fu però raggiunta nel
Rinascimento, come è testimoniato da documenti e manufatti. È
del 1271 il Capitolare di Venezia, il primo statuto dei vetrai che proibiva
l'importazione di vetro straniero ed impediva ai vetrai di altri paesi di
lavorare a Venezia. Nel 1291 viene decretato il trasferimento delle vetrerie
cittadine nell'isola di Murano per proteggere in questo modo la città
dal rischio di incendi. Da allora nell'isola lagunare fiorisce l'arte del
vetro, che nel tempo assumerà un incontrastato ruolo di guida sia per
l'originalità dei manufatti che per la capacità innovativa delle
tecniche introdotte. Così, mentre a Venezia si sviluppano e fioriscono
nuove tecniche e nuove tipologie di prodotti, nel resto della penisola continua
ad essere operante una tradizione vetraria manifatturiera priva di particolari
elementi innovativi, come testimonia la produzione dei centri di Firenze,
Treviso, Bologna, Ferrara e Ancona. Attorno al 1450 nasce il "cristallo",
materiale più puro e sottile, che viene realizzato in vetro sodico
incolore e utilizza il manganese come agente decolorante. Nel contempo, l'abilità
e la creatività dei maestri vetrai portano a nuove realizzazioni quali
il "vetro ghiaccio", ottenuto immergendo il semifuso nell'acqua
fredda, il "vetro calcedonio", prodotto ad imitazione della pietra
dura, il "vetro millefiori", ottenuto raggruppando corti segmenti
di canne dai differenti colori. Si tratta, come ovvio, di ricerche finalizzate
a creare differenti tipi di vetri per rispondere a richieste differenziate
di prodotti. Questa strada è seguita ancora oggi dalle vetrerie moderne,
con risultati altrettanto brillanti, grazie a tecnologie estremamente sofisticate.
Nel periodo dell'apogeo veneziano la produzione vetraria si diffonde in altri
paesi d'Europa. Nel XVI secolo Germania, Austria, Boemia, Spagna, Paesi Bassi
e Inghilterra divengono centri attivi e qualificati.
Ma solo alla metà del 1800, accanto alla produzione artigianale vetraria, nasce e si sviluppa la prima attività industriale, grazie all'introduzione del processo di meccanizzazione per la produzione di bottiglie, bicchieri e flaconi. È del 1903 la prima macchina per la produzione di bottiglie, che da un decisivo impulso alla produzione dei contenitori in vetro su vasta scala, con considerevole abbassamento dei costi di produzione unitari.
Il
centro vetrario di Altare e la sua influenza nella storia del vetro europeo
Secondo un'antica e radicata tradizione, tramandata oralmente, l'arte vetraria
fu introdotta ad Altare da una comunità benedettina proveniente dalla
Provenza, attorno al 1130. I Benedettini, colpiti dalle condizioni naturali
della zona (ricca di quarzo e feldspato bianco delle rocce dell'Appennino
e di boschi), idonee all'attività vetraria, avrebbero richiamato dalla
Francia alcuni esperti artigiani. A quell'epoca l'attività vetraria
era strettamente legata alle esigenze dei monasteri che richiedevano vetro
per le finestre abbaziali, calici, urne e reliquiari.
L'insediamento ad Altare delle prime fornaci da vetro può ipotizzarsi intorno alla metà del XII secolo. Alcuni inventari notarili genovesi del XII e XIII secolo documentano, in quell'epoca, l'esistenza di un'attività vetraria Altarese piuttosto consolidata, che faceva di Albisola e Varazze i suoi depositi di materie prime e prodotti finiti, e di Savona un dinamico centro commerciale frequentato non solo da mercanti locali, ma anche da pisani e genovesi. Tipica di quel momento storico fu la produzione di oggetti d'uso comune, tra cui le anfore di caratteristiche pisane o veneziane, vasellame, boccali, "amole da mezza pinta", lampade per tavola o da nave, misure di capacità per tavernieri, ampolle per olio, articoli d'uso farmaceutico e ospedaliero, tra cui le ventose per la cura dei reumatismi.
Nel corso del '400, la crescita diffusa dell'attività vetraria e del suo mercato determinarono ad Altare l'impiego generalizzato di fornaci a più bocche ed un aumento del numero degli addetti alle lavorazioni. La fase espansiva si esprime, inoltre, con le prime esperienze produttive altaresi al di fuori dal territorio ligure: in Italia nelle grandi città padane (Pavia, Milano, Piacenza) e nel sud (Roma, Napoli, Sicilia) e all'estero in Provenza e nei Paesi Bassi. Le consegne delle forniture in vetro avvenivano ovunque fosse richiesto: Stato Pontificio, Maremma, Mezzogiorno, Corsica, Sardegna, Spagna, Oriente, Africa settentrionale.
L'espansione dell'attività vetraria era regolata da una corporazione "l'Università dell'Arte Vitria", la cui esistenza è attestata a partire dal 1445. Tale organizzazione era presieduta da sei consoli che organizzavano l'attività vetraria, i tempi di lavorazione e le attività produttive fuori dal territorio altarese.
Durante il 1500, le migliori prospettive di compensi offerte dai Paesi in fase espansiva intensificarono il flusso migratorio verso la Francia (Lione, Nevers e dintorni di Parigi), nei Paesi Bassi (Liegi, Anversa), in Spagna e in Inghilterra (fabbricazione vetrate della cattedrale di Norwich).
Never, grazie al mecenatismo del suo Duca (Luigi Gonzaga) diventò il più illustre centro dell'arte vetraria in Francia, attirando molti vetrai altaresi che già operavano a Lione (Saroldi, Ferro, Ponta, Bertoluzzi). Accanto agli oggetti di uso comune si sviluppò un'oggettistica di pregio, con decorazioni a smalti policromi (oro, blu, rossi), spesso raffiguranti piccole figure o animali. Specialità del vetro Nivernese era l'imitazione nel colore e nelle venature di pietre, quali il diaspro, l'agata e il calcedonio.
L'altarese di gran lunga più famoso, che operò per molti anni in Francia, tra Nevers e Orleans, fu Bartolomeo Perrotto (intorno alla metà del '600). Maestro geniale inventò un nuovo tipo di vetro rosso e la cosiddetta "tecnica della colatura" che andò a sostituire quella della soffiatura, impiegata fino a quel momento per ottenere specchi e lastre di vetro. Tale metodo restò in uso fino agli inizi del '900, quando i nuovi processi di fusione permisero di rendere continua la colata.
Nel XVII secolo si sviluppò in Francia una "façon d'Altare" che si distinse dal gusto barocco dell'epoca per linee più sobrie ed essenziali, spesso caratterizzanti la produzione di bicchieri da vino e da birra.
Un altro altarese, attivo in Inghilterra, nei pressi di Londra, Giacomo Da Costa, svolse un ruolo determinante nell'invenzione di un cristallo piombico, il cosiddetto flint-glass, la cui paternità è stata sino ad oggi attribuita al direttore di quella fornace, George Ravenscroft.
Nel XVIII secolo l'attività vetraria riguardò in particolar modo il perfezionamento della produzione della bottiglia, favorita da nuove tecniche di lavorazione, dall'ottenimento di un vetro scuro più resistente, grazie all'impiego del carbon fossile al posto della legna per la fusione, e da esigenze di mercato (miglioramenti nella produzione e nella conservazione del vino, sviluppo dello champagne e di altri vini regionali). La bottiglia, da bassa e panciuta, diventa nel corso del tempo più cilindrica e allungata, con spalla più pronunciata, con imboccatura resistente, per essere più adatta alle esigenze di trasporto e di impilaggio. Con la nascita delle bottiglie per i vini di Bordeaux e della Borgogna, la bottiglia inizia ad assumere un ruolo di "marketing" per differenziare i vari tipi di vino. Tali modelli (le bordolesi e le borgognotte) vennero esportati in Italia ed ancora oggi conservano un'importante attualità.
Verso la fine del secolo la crisi economica determinò un momento di recessione dell'attività vetraria in generale, altarese e muranese. Nei primi anni del 1800, L'Università dell'Arte Vitrea fu sciolta. L'attività vetraria italiana risorse con la rivoluzione industriale, con nuovi moduli produttivi e di scambio.
Ancora oggi il bacino di Altare e la Valle Bormida sono contraddistinti da una vivace attività vetraria artigianale e industriale, con la presenza di importanti realtà come Saint Gobain Vetri, Vetreria Etrusca e Bormioli Rocco.
Molti esempi di realizzazioni in vetro dei secoli scorsi, realizzate dai più importanti maestri altaresi, sono a disposizione dei visitatori, in una mostra permanente allestita nella prestigiosa Villa Rosa di Altare.
Il
relitto del vetro
Nel 1980 sul fondo marino antistante Venezia, circa due miglia a Nord dell'antico
porto di Malamocco, viene rinvenuta da un gruppo di subacquei veneziani un'ingente
quantità di blocchi di vetro semilavorato, di dimensioni irregolari
e variabili e di colore verde, tipico del vetro grezzo. Si tratta del carico
di un vascello naufragato nel XV o XVI secolo, sul quale si iniziano a formulare
le prime ipotesi, e che pone molti problemi interpretativi sia per la scarsità
di reperti - sono andati dispersi lo scafo e molti materiali - sia per la
peculiarità del carico. Le analisi chimiche compiute sul vetro rivelano
che si tratta di un materiale ottenuto da sabbie di buona qualità con
aggiunta di manganese e di natron, una soda naturale cristallina composta
da diversi sali di sodio, presente in grande quantità nei laghi prosciugati
d'Egitto e del Medioriente. Si tratta di un carico anomalo, in considerazione
della prosperità delle vetrerie veneziane, e forse destinato ad una
seconda fusione in forno per la produzione di manufatti. Pare interessante
sia l'ipotesi della rotta orientale del cosiddetto "Relitto del vetro"
dimostrata da un'insegna ottomana, sia quella opposta di un vascello turco
in navigazione lungo le nostre coste